2005
“L’Africa e i poveri si sono impadroniti del mio cuore”( D. Comboni)

…UN SORRISO CHE ACCOGLIE…

Ad una settimana dal rientro dalla terra d’Africa, ammetto che sono molto frastornata. Duro è l’impatto con la realtà nella quale viviamo, una realtà completamente diversa da quella da poco lasciata.

Con un po’ di amarezza penso a quelle povere donne che oltre portare sulle loro spalle la responsabilità di una famiglia, litri di acqua, sacchi d’erba, la fatica del lavoro nei campi, portano anche il peso delle ingiustizie; donne che non possono esprimersi, che vengono maltrattate e violentate dai militari, e che oltre aver subito questo vengono anche abbandonate dai loro mariti; donne che non hanno diritto allo studio, non hanno nessun potere decisionale e nella società contano ancora meno di nulla.

Penso a tutte quelle persone che ricostruiscono la propria casa dopo l’ennesima distruzione dovuta alla guerra, e penso alla grande forza che hanno tutte le volte per ricominciare a vivere.

Sento una rabbia dentro, e un certo senso d’impotenza, perché non è giusto che nel 2005, possano ancora esistere popolazioni che vivono in quel modo, che sono fortunati se mangiano una volta al giorno se hanno l’acqua da bere, se  possono andare a scuola, se hanno un tetto sotto il quale vivere, se non vengono colpiti da armi da fuoco, se  non vengono violentati e maltrattati.

Una domanda mi sorge spontanea: “Com’è possibile tutto questo? Perché?” “Perché un paese come il Congo, paese che possiede il più grande bacino idrico d’Africa, paese con la più grande foresta equatoriale e che ha il numero più alto di minerali esistenti nel mondo: petrolio, ferro, carbone, oro, diamanti, coltan, uranio, caucciù, è un paese che vive nella più disarmante povertà e nel continuo susseguirsi di conflitti armati?

Una risposta forse l’ho trovata: “Forse, perché è un paese talmente ricco che potrebbe mantenere tutta l’Africa, e fa comodo ai potenti del mondo, ai paesi sviluppati, all’occidente che rimanga così, non cresca e non si evolva!?” “Perché l’ONU (Monuc), non fa nulla per aiutare la popolazione?” E’ difficile trovare le vere risposte, penso che noi gente comune non riusciremo mai a sapere la verità, possiamo solo intuire in base alle informazioni ricevute e cercate, ma la verità purtroppo la sa solo chi per il proprio interesse fa girare il mondo sulle sue dita.

Nello stesso tempo provo molta GIOIA,  pensando a quella donna che portava sulla sua schiena litri d’acqua e che pur non conoscendomi, risalendo il sentiero vendendomi affaticata mi ha allungato la mano per aiutarmi, e ricordando il volto e il sorriso di tutte le donne che zappavano la terra, che portavano acqua o sacchi d’erba, viste lungo la strada.

Ricordo tutti i bambini incontrati, la loro fatidica domanda “Come ti chiami?”, che voleva essere solo un modo per cercare la nostra attenzione, una richiesta d’affetto, di quell’affetto che purtroppo per forza maggiore viene un poco negato dalla loro famiglia; se pensiamo a bambini di 4 o 5 anni che normalmente hanno ancora bisogno dell’affetto materno e già si ritrovano a dover accudire i loro fratellini più piccoli, perché la mamma deve cercare il cibo e zappare la terra; scorrono ancora nella mia mente i loro sorrisi, gli sguardi, i loro abbracci accoglienti che ti facevano sentire a casa, i balli, i canti, i giochi. Quanti bambini! Non ne ho mai visti così tanti, contemporaneamente!

Penso alla grande accoglienza dei bambini al centro nutrizionale che accompagnavano e imboccavano i fratellini più piccoli denutriti, con un piatto di polenta e sardine, o riso e mais; malgrado la loro fragilità fisica sapevano trasmettere una grande forza e gioia, con le loro urla che risuonano ancora dentro me.

Ricordo quella famiglia che ci ha ospitato durante la visita ai quartieri, offrendoci una bibita, sapendo che probabilmente quella era l’unica e la tenevano per le grandi occasioni.

Ricordo quel bimbo che mi voleva donare uno dei suoi 3 biscotti, regalati dopo la giornata di giochi, dalla suora; e quella bambina che dei 3 biscotti ne ha mangiato solo 1 sicuramente per portarne a casa anche ai fratelli.

Con molta SPERANZA, penso a tutti coloro: Uomini e Donne che stanno LOTTANDO per cambiare la loro società:

Il gruppo COGESCHY (Gruppo organizzazione giovani solidali del Congo); giovani che si ritrovano per promuovere attività a sostegno dei diritti dell’uomo, favorendo varie tematiche:

(1) si occupano dei bambini di strada; 2) Sensibilizzano alla Pace e democrazia 3) Promuovono programma sociale e politico e culturale; 4) Programma occupazione donna; sviluppo sociale)

– Il Gruppo Geremia

Si occupa di far conoscere i diritti ed il modo di difenderli con la nonviolenza attiva, proponendo vari temi:

1) risoluzione pacifica dei conflitti 2) problema delle tasse 3) problema diritto dell’eredità 4) i diritti della donna 5) educare la popolazione sulle elezioni, democrazia e come governare bene etc..

– Il Gruppo delle donne

Combattono per far valere i diritti delle donne in Congo:

1) denunciando violenze torture, 2) cercando la parità tra uomo e donna, 3) diffondendo sul territorio internazionale i crimini della guerra, 3) informando ed educando per le elezioni e trasmettendo il desiderio di entrare in politica, 4) lottando per il diritto allo studio anche per le donne etc..

Tutti i Missionari: Suore, Preti, Padri Saveriani, Laici, volontari SVI conosciuti, che sono una piccola lanterna nelle notti buie di questo popolo, ed operano con grande forza e fede sul territorio mettendosi in gioco per i più deboli per i dimenticati; in particolare le suore Dorotee che ci hanno accolto ed aiutato.

Li voglio ricordare tutti anche quelli non incontrati perché veramente la loro presenza vuole essere non solo un aiuto materiale, ma soprattutto un Forte Segno di Speranza e segno che nonostante la situazione in cui queste popolazioni vivono, non sono abbandonati al loro destino, ma c’è qualcuno che si mette in gioco fino in fondo e che lotta per loro, donando la propria vita e molte volte anche rischiandola.

Se avessi una bacchetta magica veramente farei in modo che tutti noi potessimo avere gli stessi diritti, gli stessi doveri, potessimo vivere una vita dignitosa, fatta di piccole cose. Darei vita ad una società intermedia tra loro che vivono nella più disarmante povertà; e noi che viviamo nella troppa ricchezza, ed abbiamo perso il vero senso del vivere nell’essenziale; tra loro che sanno donarti un sorriso che accoglie, un saluto che ti fa sentire amico, e noi che quasi per strada non ci salutiamo nemmeno, sempre troppo immersi nei nostri impegni, nel lavoro, nella ricerca di possedere sempre più, di apparire, ed abbiamo dimenticato come le piccole cose quelle più semplici possano darci la vera felicità, abbiamo perso, sotterrato il vero valore della vita, il vero senso di stare insieme, di condividere, di donare un sorriso, un abbraccio a chi ha sete di questo.

Non siamo partiti per fare grandi cose, anche perché in 3 settimane non si cambia il mondo, siamo partiti con l’obiettivo d’incontrare e di condividere un tratto della strada della nostra vita, con chi purtroppo dalla nostra società viene dimenticato o fa comodo dimenticare. Io personalmente sento di aver ricevuto molto di più di quel che ho potuto e saputo dare, e di essere tornata con un bagaglio ricco di forti emozioni: di gioia, di speranza, di sguardi, di sorrisi, di pianti, di abbracci, di silenzi, di preghiere, anche con un po’ di rabbia, di amarezza e d’impotenza; è stata un’esperienza forte, intensa ed in certi momenti dura e faticosa.

A noi che abbiamo assaporato solo una briciola di quel che vivono in Africa, tornati alla nostra realtà, resta l’impegno e la voglia di testimoniare quel che abbiamo vissuto, quel che abbiamo udito e toccato, e la voglia di lottare con loro e di cambiare qualcosa nella nostra quotidianità.

Voglio concludere con la frase finale di una preghiera che mi è rimasta nel cuore:

…Cercando questa terra, questa terra assai bella, insieme ai poveri, abbiamo trovato la porta del cielo.

Elena

Non piangete più

bambini di Dio.

Non piangete più.

Non più girotondi

di dolore.

Non più danze di spasimi.

Il vostro canto

diventi leggero,

il vostro canto

non sia più un dolore.

Signore, pietà.

Pietà dei tuoi bambini.

Veglia sul loro sonno

perché non sia più

lo sfinimento del dolore,

ma riposo tra i giochi.

Dormite,bambini

e domani,

domani, andremo verso il sole.

Congoagosto 2005 

Lorena Z.

Il vaso di creta

Dopo la  quarta esperienza estiva in Africa, presso la missione delle nostre Suore, diventa più difficile “raccontare” qualcosa, perché il bagaglio di sentimenti e di emozioni si fa più ricco,  e più complicato è scegliere una “perlina” la donare.

L’esperienza del gruppo (21 persone) quest’anno si è allargata: le prime due settimane le abbiamo vissute insieme in Congo (Bukavu – Cimpunda) nell’animazione della “Colonie de vacances” che è la nostra “estate ragazzi”, con animatori, bambini, ragazzi, e nel Centro Nutrizionale… e abbiamo incontrato gruppi di persone impegnate nel sociale e nella promozione dei diritti dell’uomo e della donna, tanto calpestati in queste zone.

L’ultima settimana ci siamo spostati in Burundi e ci siamo divisi su quattro esperienze diverse:

Ä           Un gruppo si è fermato al Centro giovanile di Kamenge, con don Piero e ha partecipato ai campi di lavoro con i giovani locali, nel fare mattoni per la ricostruzione delle case dei più poveri, distrutte continuamente dalla guerra.

Ä           Qualcuno si è unito a Silvia a Bujumbura e ha dato il proprio apporto incontrando e stando con una “comunità” di bambini orfani.

Ä           Altri, che partecipano ai corsi SVI, si sono portati a Mivo (Ngozi) per visitare alcuni progetti già in atto.

Ä           Io, con cinque ragazze, sono stata a Muray, un centro nelle colline di Gitega gestito dalle nostre Suore.

Il giorno prima di partire, ci siamo poi ritrovati insieme nella condivisione delle diverse esperienze.

Non sono mancate lacrime e momenti emozionanti…ma si sa: questa è l’Africa!

Anche a me è rimasto forte un ricordo e provo a farne dono.

È il pomeriggio del 26 agosto 2005 ed è il penultimo giorno di permanenza in Africa. Sento già dentro di me il distacco da questa terra che amo, dalla sua gente povera e sofferente, ma anche con tanta voglia di risorgere da brutture e violenze.

Gli sguardi e i sorrisi dei bimbi sono una risorsa immensa, una carica di cui noi occidentali avremmo estremamente bisogno.

Questi pensieri mi corrono tra mente e cuore, mentre in jeep percorro  una strada in discesa sulle colline di Muray, in Burundi. La polvere fine entra anche dai finestrini chiusi e sembra avvolgerti, quasi abbracciarti, lasciando una rossa impronta su tutto.

 Attorno bananeti, qualche capanna, sterpi e cespugli, qualche bambino che corre al ciglio della strada al rumore della jeep. Non è facile che qualcuno arrivi qui, quindi un mezzo di trasporto desta curiosità. Vogliamo visitare un villaggio dei pigmei Batwa, nel territorio estesissimo della parrocchia di Muray…ma sembra sparito nel nulla.. “forse si sono spostati perché sono nomadi”, dice sr. Iolanda.

Ci inoltriamo ancora cercando di guardare meglio: sul lato sinistro della strada, la collina in discesa nasconde le capanne alla nostra vista. Ci fermiamo perché un gruppo di bambini arriva di corsa gridando e salutando. Siamo arrivati!

Ci accoglie il capo villaggio e mi saluta porgendomi una mano scarna e rugosa. Anche una donna anziana mi saluta con un luminoso sorriso senza denti e, dandomi la mano, ho la sensazione che sia particolarmente rigida e tesa.

Poi i bambini ti avvolgono: pochi sono vestiti, indossano “qualcosa” di cui non indovini neppure il colore  e l’odore è indefinito.

Mi prendono per mano e mi conducono… e mentre cammino sento le loro piccole mani nelle mie, non appiccicose come di solito sono, ma quasi fossero di gesso. Ma non mi interessa tanto sono presa dall’accoglienza di questa gente semplice e povera, dimenticata da “tutti”.

Le famiglie intere ci vengono incontro e ci portano al centro del villaggio. Bassissime e larghe le capanne di legno e frasche, senza una finestra x non far entrare insetti, dove dentro senti (perché non la vedi!) la capretta, unica ricchezza della famiglia.

Piccola la porta di legno, adatta ai pigmei, e davanti ad una di queste è seduta la mamma che tiene sulle spalle l’ultimo nato. È curva per terra e, guardando meglio, capisco la sensazione delle mani: tutti qui hanno le mani sporche di un’argilla grigia che con l’aria si asciuga e si secca sulla pelle nera. La donna mi fa accomodare vicino a lei su una specie di sgabello: sta modellando un vaso, così come la bambina di cinque anni che con grande maestria imita la mamma in quest’opera. Il tutto avviene sulla nuda terra…solo un ciotolo fa da supporto. Mentre la donna mi mostra la sua abilità, il piccolo ha fame e la mamma, senza minimamente scomporsi, se lo gira davanti e gli offre il seno “poco generoso” in verità, poi riprende il suo lavoro e disegna con mezzi di fortuna (un bastoncino e un sasso!) il suo bellissimo vaso. Il sole cuoce l’esterno, mentre all’interno è riempito di sterpaglie alle quali da’ fuoco. E si cuoce così!

Io guardo attonita questa povertà di cose e di mezzi che si trasforma in una meravigliosa capacità creativa.

Vengo però distolta da questi pensieri, perché vedo tutti i capofamiglia e il capovillaggio attorno alla suora responsabile della comunità di Muray: a ciascuna famiglia, e sono 42 nuclei, lascia in dono 1500 FB, pari a 3 $.

Per noi cosa sono? Un bel gelato, ma per loro corrisponde alla paga lavorativa di due o tre giorni !!

Si alza un grido di gioia, qualcuno inizia a battere le mani e cantare e in quel momento è un’unica danza di grazie. Un’altra mamma, con il piccolo al collo, tiene in alto un vaso, appena cotto, e mentre danza lo lancia in alto e lo riprende facendolo ondeggiare come avesse in mano un ostensorio prezioso. Sempre danzando si avvicina e me lo offre, scusandosi perché era un po’ incrinato, ma non ne aveva un altro.

Conteneva ancora il resto degli sterpi, era caldo del calore del fuoco e sentiva di bruciato, ma in quel momento era il profumo della gratitudine e dell’accoglienza.

L’ho stretto al cuore come qualcosa di caro e ho sentito che mi trasmetteva un profondo legame con questa terra, un legame fatto di povertà, semplicità, gioia di vivere che il popolo dell’Africa ti offre.

E in quel vaso, con la cenere degli sterpi, ho lasciato due lacrime. Vere!!!

Suor Paola Rubagotti
Suore Dorotee di Cemmo