“L’Africa e i poveri si sono impadroniti del mio cuore”( D. Comboni)

POLVERE D’AFRICA

Mi chiamo Fabio, ho 20 anni e da poco tempo sono tornato da un’ esperienza di volontariato nella Repubblica “Democratica” del  Congo (Africa).

Il 9 Agosto siamo partiti in 17 (15 giovani, un sacerdote ed una suora) alla volta di Bukavu, una baraccopoli di più di 500.000 abitanti presso la regione dei grandi laghi (sul lago Kivu)..         

Per circa 20 giorni siamo stati lontani da casa. Abbiamo conosciuto la storia del Congo, abbiamo incontrato la gente d’Africa, abbiamo sentito l’odore di quella terra sacra, abbiamo condiviso un po’ della loro sofferenza, abbiamo ascoltato il loro grido asciutto che chiede speranza.

Ci siamo preparati un intero anno perché dovevamo essere pronti ad ascoltare, a ricevere a braccia aperte quello che ci avrebbero detto, dimenticandoci per un momento di essere europei per ritrovarci, una volta, cittadini del mondo.

Tante cose mi hanno colpito.. Si è parlato tanto della seconda guerra mondiale, si è parlato tanto dell’ 11 settembre, si è parlato tanto del delitto di Cogne e di tutti quei calciatori che guadagnano troppo. Stranamente in pochi, ma molto pochi, ci hanno raccontato delle ripetute stragi in Congo. Il Congo è un paese in guerra da 10 lunghi anni, guerra che fino ad ora è costata PIU’ DI TRE MILIONI DI MORTI.

L’11 settembre sono morti migliaia di americani, è vero. E’ stato giusto parlarne e onorarne la memoria, ma per mesi in Congo ne morivano altrettanti, QUOTIDIANAMENTE. Le loro vite dunque  contano meno delle nostre?. Non lo diciamo ma in fondo è quello che pensiamo: sono lontani, sono in guerra, sono poveri. Non possiamo aiutarli.

Invece no. C’è qualcosa che possiamo fare. Almeno come inizio. Dobbiamo essere coscienti della situazione di questi popoli abbandonati, raccontare anche agli altri, a tutti quelli che conosciamo quelle storie di cui abbiamo sentito parlare. E’ vero, grazie alla televisione sappiamo che sono poveri, sappiamo che sono in guerra, ma non ne conosciamo le verità di fondo, non conosciamo la loro sensibilità, non ci rendiamo conto di quanto siano simili a noi. Desiderano le nostre stesse cose, ma loro hanno solo avuto la sfortuna di nascere là.

Durante quei  giorni abbiamo incontrato svariate persone: donne, bambini, giovani, adolescenti. Abbiamo conosciuto persone che mettono in gioco la propria vita per promuovere la pace e la speranza. Voglio ricordare tra questi in particolare i Padri Saveriani, le comunità delle Suore Dorotee da Cemmo e i vari membri delle associazioni locali che lottano per un futuro migliore.

Quelle persone mi hanno illuminato nel profondo. Lì ho incontrato la vera Chiesa. La Chiesa che si schiera col più debole, la Chiesa che non esita a denunciare chi compiva le stragi, la Chiesa di Dio che non abbandona i propri figli.. In quella terra martoriata molti Padri e molte Suore hanno donato la vita per gli altri, perché quando c’ era da scegliere se scappare (come tutti) o rimanere accanto alla gente non hanno esitato a rimanere. A Bukavu gli ultimi tre vescovi sono morti, 2 assassinati. All’ultimo Vescovo i militari gli hanno sparato alla nuca. Se con tranquillità e assoluta impunità un vescovo può essere ucciso per strada, cosa può succedere a un “cittadino qualsiasi”?

 Ci hanno raccontato che sempre a Bukavu (come in tante altre città) girano delle liste, nemmeno tanto segrete, di gente che deve essere uccisa perché parla troppo, fra queste persone ci sono tanti nomi di missionari e suore italiane (molte di Brescia). Ci hanno colpito quando ci hanno detto che per 20 dollari puoi mandare a uccidere una persona. Ma lì, la vita di una persona vale anche molto meno.

Eppure tutti questi padri, tutte quelle suore non erano tristi e impauriti. E’ gente che crede in quello che fa, gente che crede in Dio. “Se Dio è con me, di cosa posso aver paura?”.

Nel profondo dei miei occhi e nel calore del mio cuore sono rimasti impressi gli sguardi di tutte quelle persone semplici che ho incontrato. Ricordo le donne, che vedevo camminare nelle ore più calde della giornata, in salita, con degli inimmaginabili fardelli sulle spalle. Eppure si fermavano con noi, ci sorridevano e con il loro viso ci ringraziavano come potevano vergognandosi un po’ per l’essere vestite di stracci. Ci tendevano la mano, ci ringraziavano perché se dei bianchi erano venuti fin li allora c’è della speranza, allora non sono del tutto soli.

Abbiamo visitato anche 2 centri nutrizionali. Lì finiscono i bambini poveri tra i poveri. Quelli che rischiano di morire perché non hanno nemmeno la possibilità  di succhiare della canna da zucchero.

Alcuni di noi hanno pianto nel vederli.

 Appena siamo arrivati a Bukavu è stata festa generale. Animare e festeggiare con la gente povera non è difficile, basta cantare o battere le mani e tutti ti seguono in coro. C’è tanta voglia di vivere, tanta voglia di far festa. Alcuni bambini dimostravano la metà dell’età effettiva, perché senza cibo erano rimasti bassi e gracili. I più gravi venivano alimentati dalle sonde. Ho preso in braccio alcuni di quei bambini. Ne ricorderò sempre uno. Non parlava ma mentre lo sollevavo vedevo i suoi grandi occhi, apparentemente inespressivi, farsi sempre più grandi, tendersi per l’emozione. Non aveva mai visto il mondo da quella altezza. Porto con me tanti altri piccoli episodi, come tutte le centinaia di bambini che ci hanno dato la mano appena scesi dalle jeep e che mi accarezzavano dolcemente il braccio stupiti che avessi peli sulle braccia. C’era anche una bambina dolcissima. Ogni volta che uscivamo per andare a fare animazione mi cercava e sorridendo mi dava la mano. La trovavo che mi aspettava per accompagnarmi anche al ritorno.

Queste sono solo alcune istantanee dell’esperienza che ho vissuto. E’ stata tutta un’avventura che mi ha permesso di comprendere meglio le mie fortune e dall’altra parte le sfortune di tutte quelle persone, sfortune a cui è difficile credere quando le vedi solo in televisione. Ma esistono davvero.

Gran parte del tempo che abbiamo trascorso a Bukavu lo abbiamo passato affiancandoci agli animatori del posto. Con loro abbiamo discusso su come organizzare le giornate, su quali giochi fare, su quali messaggi proporre. Sono stati incontri molto interessanti, anche del punto di vista dello scambio culturale. Noi italiani attraverso dei mimi abbiamo cercato di descrivere gli aspetti negativi della vita in Italia (perché erano già a conoscenza degli aspetti positivi). Abbiamo mimato la “giornata tipo” di una famiglia, enfatizzandone la frenesia e la scarsità di comunicazione tra i membri. Anche gli animatori e i giovani congolesi hanno mimato delle scene di vita comune: ci hanno scioccato perché quasi sempre c’erano scene di violenza come ad esempio militari che entrano di notte nelle case e picchiano (e/o uccidono) per rubare quel poco che c’è.

Tutti noi stiamo lavorando per organizzare delle serate (nei rispettivi oratori) per  illustrare un po’ più in dettaglio la storia del Congo e dei popoli limitrofi. E’ importante essere informati perché chi manovra i fili dall’alto sono le potenze occidentali in particolare Stati Uniti, Inghilterra e Olanda (ma anche altri stati sebbene in misura minore, Italia compresa). Milioni di morti per estrarre dei minerali. Un padre saveriano una volta ci ha detto: “il Congo è come un grande supermercato dove tutti entrano e prendono, ma nessuno paga”.

Per chi ha internet volevo segnalare un sito: www.misna.org. E’ un sito molto interessante che pubblica informazioni su tutto ciò che accade nel sud del mondo. Sono informazioni non filtrate (e per questo attendibili).

Fabio

BUKAVU  2002 (R.D.C.)

9 – 30 agosto

Partire per un mondo sconosciuto non è stato facile: Tante preoccupazioni e tante emozioni.

Attraversare il Burundi e il Rwanda  vedendo con i propri occhi la guerra e, percepire che la situazione è drammatica, nella testa avevo solo il pensiero  di arrivare a Bukavu. Non che lì la situazione sia migliore ma comunque, arrivare in una grande città, è stato un modo per scaricare tutta la tensione accumulata nel trasferimento da: Bujumbura per la parrocchia di Cimpunda, dove una comunità di quattro suore Dorotee da Cemmo ci attendeva.

In questa parrocchia, oltre alle attività della chiesa, le suore gestiscono un asilo, un dispensario medico, un centro nutrizionale per 250 bambini malnutriti e un piccolo laboratorio per la lavorazione della lana. Scendere dalla Jeep e trovarsi per strada, accolto da un fiume di gente che ci aspettava mi ha fatto sentire subito a casa e, lasciandomi alle spalle i problemi della lingua.

Ho iniziato a parlare con gli occhi e vedevo i loro sguardi pieni di gioia, a partire dal bambino fino all’anziana donna che, a fatica, riusciva ad accompagnarci alla casa per il carico di legna che portava sulla schiena. E poi non solo gli sguardi, ma anche il contatto fisico; intorno a me tante mani che volevano prendere le mie o solamente sfiorarmi, e tutto questo per l’intera esperienza.

Un’esperienza vissuta da pellegrini riconoscendo tutta la nostra povertà, pronti ad accogliere l’altro e, con l’umiltà di ascoltare il loro grido d’aiuto.

Allo stesso tempo abbiamo donato noi stessi per quello che siamo, aprendo le porte del nostro cuore per accogliere l’altro senza pregiudizi.

Con tutta semplicità ho cercato di essere portatore di entusiasmo esprimendo loro tutta la nostra solidarietà e, che non sono soli a combattere questa situazione, in segno di fratellanza e unione perché davanti a Dio siamo tutti uguali. Materialmente non abbiamo fatto grandi cose, però per loro vedere un gruppo di diciassette persone che camminava, giocava e ascoltava loro, è stato un segno di speranza, quel desiderio di pace cui tutti aspirano.

Di povertà e miseria ne ho vista tanta ed allo stesso tempo situazioni dure da masticare, sentendomi impotente davanti a tutto questo, eppure, la loro vivacità mi ha dato la conferma che Dio è più vicino ai poveri, agli ultimi ma non per questo dimenticati.

E noi occidentali, che abbiamo tutto, e più vorremmo avere, non ci accontentiamo mai; siamo sempre tristi e invece là, negli occhi di ogni bambino o persona che ho incontrato si riflette l’immagine di Dio.

Nelle loro celebrazioni ho provato emozioni indescrivibili; durante le messe ho palpato la loro fede come qualcosa di indistruttibile. I loro canti, le loro danze, il loro modo di pregare è stato un insegnamento; probabilmente una delle poche cose che hanno per sperare in un futuro migliore però, la Tua parola da loro sicurezza.

Ed ora che sono tornato a casa, cerco di vivere giorno per giorno come ho vissuto là per tre settimane; non sarà facile ma voglio provarci. 

La serenità e la pace interiore che ho sentito, e che ho acquistato, cercherò di trasmetterla a tutte le persone che incontrerò sul mio cammino divenendo sempre più un operatore di pace.

Forse la vera missione comincia ora che sono ritornato e so che è difficile ma, nelle cose quotidiane ( lavoro, famiglia, amici, oratorio e svago ) cercherò di viverle donandomi agli altri con tutta la mia semplicità.

In attesa di ritornare là in mezzo a loro, farò il possibile per mantenere vivo il ricordo di quest’estate che mai più finirà.

Kwa jina la Baba…

L’odore caratteristico dell’Africa ti rimane addosso, o meglio nelle narici per lungo tempo e tu assapori i ricordi di quei giorni con un misto di nostalgia. Sì, perché lì è la vita pur con le sue povertà e contraddizioni.

Il ricordo è ancora vivo e non fatico a rivedere i nostri volti ansiosi quando siamo partiti: la curiosità del nuovo, l’insicurezza del percorso, le difficoltà di un paese in guerra come il Congo, l’ansia dei genitori.

Ma l’esperienza che ci attende a Bukavu è troppo importante per fermare un gruppo di giovani, motivati a fare qualcosa per gli altri in tempo di vacanza o di ferie.

Partiamo in 17, quindici giovani, il Don e io, forti di una esperienza di gruppo e di una preparazione a monte che ci ha permesso di conoscerci un po’ per poterci sostenere reciprocamente ( e lungo il percorso abbiamo capito quanto il gruppo sia stato importante per ciascuno!).

Immersi nel nostro benessere, l’impatto con la realtà dell’Africa è stato molto forte e ci ha scosso dentro come non mai.

Alcune cose le vedi dai mass-media, le senti,  ma quando le tocchi sulla tua pelle è molto diverso.

Provi sensazioni mai provate prima e per quel che mi riguarda, tanta vergogna nei confronti di quella gente: non la vergogna di essere “musungo” (bianco) ma la vergogna del superfluo che hai e che per loro sarebbe vitale. Allora i punti interrogativi incominciano a fissarsi nel cuore.

Dopo le prime formalità burocratiche e non poca tensione per un gruppo così grosso di bianchi tutti insieme e mai visto, l’esperienza inizia a Cimpunda, villaggio alla periferia di Bukavu a 1700 m. di altitudine: davanti lo specchio del lago Kivu. Siamo ospitati nella scuola Materna.

Temperatura perfetta, località turistica se non ci fosse la guerra, sistemazione presso le Suore con sacco a pelo come per i nostri campi di oratorio, tentativo di fare una spaghettata come la nostra, spesso non c’è luce ma abbiamo le pile…tutto questo apparentemente non ci scuote più di tanto.

E’ l’inizio dell’avventura che però cambierà il cuore di tutti quanti.

La mattina pensiamo di vivere la Messa alle 6 con la Comunità parrocchiale. Quale la nostra sorpresa nel vedere la Chiesa stracolma (come da noi!) di bambini dai due anni in su, da soli: li vedi ma non li senti perché vivono la Messa con un senso del sacro e del mistero in modo sbalorditivo.

Ma c’eravamo noi a “disturbare” e sentivi un sommesso “musungo” .

Ci lasciamo trascinare dal ritmo dei bonghi e dal canto del coro, lasciando il Don che concelebra alle prese con la lingua swahili: …kwa jina la Baba, na la Mwana, na la Roho Mtakatifu…” (nel nome del Padre…)

Tanti, troppi occhi ci guardano con insistenza curiosa, sospettosi…e allora tentiamo un timido sorriso, una strizzatina d’occhi e la tensione si smolla, l’indifferenza lascia il posto alla fiducia.

Allo scambio di pace tante mani vogliono incrociare la tua e ti insegnano “come” loro ricevono e donano la pace.

Veniamo anche presentati alla Comunità Parrocchiale di Cimpunda e grande è l’entusiasmo quando il parroco, l’abbé Emmanuel, dice ai bambini e ai ragazzi che giocheremo con loro e che il nostro tempo è per loro.

Ci attorniano, e a centinaia ci accompagnano a casa. E sarà così ogni volta che usciamo.

Dapprima timorosi, i bambini si affiancano cercando di starti vicino il più possibile, poi il tentativo di prenderti la mano, una mano bianca così diversa dalla loro, che annusano e accarezzano come qualcosa di strano. Allora tu abbassi lo sguardo, forse lucido e con un sorriso rassicuri quel volto dal naso sporco e già pieno di polvere. Il sorriso che ti risponde è un tutt’uno con la stretta che si fa più forte, più sicura, già amica.

Cominci a chiedere in swahili il loro nome (alcuni impronunciabili, altri semplicemente francesi) e pian piano nasce un rapporto che è vivo solo di sguardi, di ascolto silenzioso, di attesa.

Ma è sempre un rapporto di speranza! Se noi siamo arrivati lì, e così in tanti, è segno che altri ci possono arrivare, vedere, aiutare, condividere e testimoniare. Certo devi lasciare da parte le tue sicurezze ed entrare con rispetto nella loro mentalità, nelle loro tradizioni, nella loro vita fatta di quelle cose semplici che noi abbiamo dimenticato.

E poi non passa inosservata la condizione della donna africana, costretta a portare il peso della famiglia, dei numerosi figli, del lavoro…costretta a subire violenza da parte dell’uomo perché non ha diritti, non conta niente…violenze dai militari, come oggetto di piacere e di passatempo! E glielo leggi in viso, nella tristezza profonda degli occhi.

Abbiamo cercato un incontro con ***, una persona che sta combattendo per i diritti della donna e che sta raccogliendo testimonianze degli abusi subiti durante la guerra. Sono riuscita a leggere qualcosa di questa documentazione, e per me, per la mia sensibilità femminile, è stato l’incontro più toccante e più sofferto. Ma anche per tutti credo sia stato un “giro di vite” allo stomaco, proprio perché entra in gioco la distruzione della dignità della persona umana.

Un altro momento forte è stata la prima visita al Centro Nutrizionale annesso al Dispensario, dove le nostre Suore, oltre la Scuola Materna, passano la maggior parte del loro tempo.

Ogni giorno, 400 bambini, in due turni attendono il pranzo seduti per terra, su una stuoia. Sono piccolissimi, a volte arrivano lì soli, o accompagnati dai fratellini di poco più grandi, qualche volta anche dalle mamme. Sono gonfi per carenza vitaminica e proteica, gonfi da far fatica a sorridere e nei grandi occhi che ti fissano vedi tutta la tristezza di una situazione insolita e ingiusta, ci vedi il desiderio che noi non abbiamo: un pezzo di pane.

Il pasto arriva in una ciotola e il fratellino più grande “imbocca” con le mani il piccolo; impasta un boccone di bugali (polenta di manioca) e lo intinge in un brodo di verdure e fagioli dal profumo invitante anche per noi. Quello che ci sorprende è che i più grandi (5-6-7 anni) non ne possono mangiare perché la razione è destinata al piccolo. Ma se ti giri, qualche boccone sbaglia velocemente  bocca e gli occhi sorridono furbi.

Arrivano al Centro anche dei casi molto gravi che vengono dirottati al reparto denutriti dell’ospedale di Bukavu, che noi abbiamo visitato e da cui ne siamo usciti con tanta angoscia per quello che abbiamo visto o che non abbiamo voluto vedere, ma anche con un dono per quella gente:

un po’ del nostro sangue per aiutare qualche vita a non morire.

Spesso, nelle nostre verifiche serali, ci siamo chiesti:

Come Dio entra in questa nostra esperienza?

E ci siamo resi conto che Dio ci è entrato fin dall’inizio, è stato con noi in ogni momento, perché un’esperienza così forte non la puoi sostenere da solo.

  • Dio era lì quando mattina e sera pregavi, assonnato o stanco…
  • Dio era lì mentre davi la mano ai bambini e ti restavano appiccicate tanto erano sporche, ma sentivi passare un desiderio di affetto mai conosciuto…
  • Dio era lì mentre i loro occhi tristi guardavano i tuoi e diventavano più sereni…
  • Dio era lì mentre cantavano con te e sentivano meno la fame…
  • Dio era lì quando li salutavi semplicemente con un “jambo” e loro si sentivano importanti…
  • O quando permettevi loro di abbracciarti o li prendevi in braccio anche se nudi, sporchi, bagnati…
  • Dio era lì quando sorridevi ad una mamma, ti fermavi a farle un complimento e per un momento le ridavi un pizzico di dignità…

Qui c’era il Signore, ed è sempre stato all’opera, ha cambiato il nostro cuore, il nostro modo di porci in mezzo a questi nostri fratelli e tra di noi, ci ha donato la gioia della quotidianità, anche se non sono mancate le inevitabili fatiche.

Questa è la nostra esperienza a Cimpunda: “siamo entrati come pellegrini e ne siamo usciti con una immensa ricchezza umana…” e penso che il Signore si sia servito di noi per ridare un po’ di speranza a quella gente.

Io, come Suora da Cemmo, ringrazio Don Piero, il gruppo dei giovani “dell’Afrique” per la profonda  esperienza fatta insieme e mi auguro che prossimamente, un tipo di iniziativa così, venga pensata e promossa dalla Congregazione, dal momento che il tutto si è svolto nelle nostre Comunità di missione, ma anche per evidenziare il carisma di animazione e di accompagnamento dei giovani, proprio del nostro Istituto.

 

Suor Paola

Signore, mio compagno di viaggio, Tu hai dato gioia e serenità

alla mia vita e fa che non cada nella quotidianità.

Signore, dammi la forza

Di tenere sempre vivo nel mio cuore il tuo volto,

nei volti che ho incontrato e di tutti coloro che hanno vissuto con me

questo momento forte della mia vita.

Si, è proprio vero, mi hai fatto un grande dono, Signore.

Grazie Signore per questa esperienza che mi hai concesso di vivere.

In questi giorni di fatica, di preghiera, di fraternità,

ti sei rivelato a me in maniera più chiara, più familiare.

Ti sei dato a me come il Padre provvidente.

Ti ho scoperto come il Dio presente nel fratello.

Ti ho percepito come il Dio umile e mansueto

Che si lascia incontrare dalla superbia dell’uomo e lo disarma.

Ti ho colto come il Dio tenerezza e misericordia

Che ama ogni uomo con larghezza di cuore,

in particolare i più lontani dal tuo amore.

GRAZIE DIO     AKSANTI   SANA   MUNGU

Andrea

IL POPOLO DEI GRANDI LAGHI

Dopo la tragedia del Rwanda nel 1994, la situazione è degenerata in Congo ,allora ancora Zaire. Dal 1961 il paese era sottoposto al regime dittatoriale di Mobutu. Appoggiato dalle potenze occidentali (Usa, Francia e Belgio), Mobutu era salito al potere subito dopo l’indipendenza dal Belgio, diventando il baluardo dell’Occidente contro l’espansionismo sovietico in Africa. La dittatura continuata fino al 1997 aveva in realtà permesso a Mobutu e al suo entourage di arricchirsi a dismisura, grazie al commercio delle materie prime di cui era ed è  ricchissima la nazione. La maggioranza della popolazione continuava però a rimanere nell’ignoranza e nella povertà.

Chi si opponeva veniva incarcerato e in molti casi ucciso. Solo nel 1992, con la prima assemblea nazionale, la contestazione al regime poteva manifestarsi pubblicamente. Nelle varie regioni del paese, iniziano a formarsi i primi gruppi che hanno come obbiettivo lo sviluppo della società civile e la dignità dell’uomo. La caduta di Mobutu, abbandonato dall’Occidente e il colpo di stato di Kabila, portano nel 1998 alla scoppio della « prima guerra mondiale d’Africa » (M.Albright , ex segretario di stato Usa). Lo scontro fra truppe regolari di Rwanda, Burundi,Uganda da una parte e Nanibia, Angola e Zimbawe dall’altra, ognuno appoggiato da vari gruppi locali, provoca la divisione del paese in due zone di influenza. Ma soprattutto dal 1998 a oggi alla morte di due, forse tre milioni di persone : più di 2500 al giorno. Di fronte a questa violenza, di fronte a una guerra voluta dai potentati economici per sfruttare le risorse di questa immensa regione, gli esponenti della società civile congolese non possono niente. Eppure qualcuno resiste e combatte la sua battaglia per la libertà.

Riassumere gli avvenimenti degli ultimi dieci anni nella regione dei Grandi laghi africani  è difficile, ma ancora più impegnativo è parlare della dignità, della dedizione e del coraggio di chi opera  a favore della gente comune.

Human Rights Watch è una associazione con sede a New York, che lotta per la difesa dei diritti umani. Ha realizzato vari rapporti : tra questi quello sugli scontri a Kisangani (est Congo) nel Maggio scorso e soprattutto quello sulle violenze subite dalle donne durante la guerra nel sud-Kivu. Sono resoconti agghiaccianti.

I gruppi della società civile, nati come opposizione a Mobutu, esistono in quasi tutte le città. Con la guerra, l’organizzazione statale manca completamente : i dipendenti pubblici da 5 anni non vengono pagati, gli ospedali e le scuole funzionano solo per chi può pagare. Gli uomini e i ragazzi vengono arruolati nei vari eserciti : manca il lavoro per chi resta a casa. In queste condizioni, agendo contro il volere dei rwandesi che controllano il Kivu,  organizzano le poche strutture sociali ancora esistenti.

Heritiers de la justice, tenta di opporsi all’occupazione straniera cercando di far sopravvivere chi viene rinchiuso per motivi politici nelle carceri. Le condizioni di vita all’interno sono disumane e solo pagando si può sperare di uscire. Ma in questo modo il gruppo cerca soprattutto di far conoscere in Occidente la difficile realtà del Congo.

Infine la Chiesa attraverso i Vescovi, i missionari e i preti locali cerca di essere d’aiuto e sostegno nei vari quartieri.

L’Università cattolica a Bukavu funziona, i problemi sono enormi, ma anche grazie alla collaborazione con altre università africane ed europee riesce a fare ricerche ad esempio in ambito legislativo, ponendo così le basi per la costituzione di uno stato di diritto. L’ospedale diocesano, ha costi proibitivi, ma è l’unico che funziona. Gli asili e le scuole tenute dai religiosi, permettono ai ragazzi di continuare ad avere speranza in un futuro migliore.

Gli accordi di pace firmati recentemente dal governo di Kinshasa con il Rwanda e l’Uganda sembrano aprire nuove possibilità. L’inizio del ritiro delle truppe rwandesi è il primo segnale concreto di cambiamento. La pace sarà però difficile da raggiungere se da parte dei paesi più sviluppati non ci sarà una reale volontà di porre fine allo sfruttamento economico, e se tra i popoli dei Grandi Laghi non si vorrà lavorare per realizzare quel miracolo che abbiamo visto a Bujumbura in Burundi. Qui nel quartiere di Kamenge, quello martoriato dagli scontri interetnici cha dal ’93 flagellano il Burundi, c’è un centro giovanile tenuto dai padri Saveriani. Giovani tra i 14 e i 30 anni (la fascia di età più esclusa e senza potere) senza differenze di etnia, di sesso , di religione, di censo sociale giocano insieme a basket, pallavolo, calcio, tennis, rugby ; studiano in una ricchissima biblioteca ; navigano in internet e partecipano a cineforum su  violenza e Aids. Capiscono che non ci sono divisioni e che solo dall’amore può nascere la pace.

Il centro è stato visitato  dai premi Nobel Nelson Mandela, Desmond Tutu e dal commissario Onu per i diritti umani Robertson. Tutti sono rimasti increduli ed affascinati da questa realtà di dialogo in mezzo alla sofferenza. Ma per noi insieme al sorriso dei bambini di Bukavu rappresenta un’esempio di fratellanza, pace e solidarietà.

Roberto

 

LA DONNA NELLA REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO

Testimonianza di *** che si occupa della condizione della donna nella diocesi di Bukavu.

La concezione della donna

Nella società tradizionale uomo e donna sono considerati complementari. Tutti devono sposarsi; se la donna non riesce a trovare un marito in prime nozze, deve adattarsi ad essere la seconda o la terza moglie.

La Chiesa ha portato una novità introducendo il concetto che la donna può avere un ruolo religioso, quindi un’altra vocazione rispetto al matrimonio.

Identità della donna

Nella famiglia la donna sposata perde il proprio cognome e sarà riconosciuta dalla comunità solo come “la moglie di….” o  “la figlia di…….” ; pertanto la sua identità è definita in funzione di ciò che è per gli altri. Se la donna non riesce a sposarsi deve avere almeno un bambino, per essere qualcosa per qualcuno. La donna non ha diritto all’eredità, nè nei confronti del padre nè nei confronti del marito. La donna appartiene a suo marito, deve obbedirgli, produrre per la famiglia ed essere fertile (deve essere in grado di partorire figli maschi, altrimenti deve accettare che il marito li faccia con un’altra).

Una donna che non può avere figli non è Niente e non ha Niente.

Ripartizione del lavoro nella famiglia

Nella famiglia la donna è responsabile di tutto: deve coltivare i campi, educare i figli, badare alla casa e mantenere le relazioni sociali.

Dato che la donna è cresciuta in questo contesto educa le proprie figlie allo stesso modo e quindi fa affidamento su di loro per tutti i lavori di casa, mettendo al secondo posto l’istruzione.

L’uomo costruisce la casa, taglia la legna nei boschi, pesca e fa dell’artigianato.

Gli uomini portano i pesi leggeri mentre sono le donne che tutti i giorni caricano sulle spalle i pesi più pesanti.

Una grande novità è stata introdotta con la scolarizzazione. La prima scuola è stata aperta a Bukavu nel 1930. Prima della guerra nella campagna, la scolarizzazione raggiungeva il 30% mentre in città l’80% (scuola elementare). Ora le donne studiano per diventare insegnanti, segretarie, infermiere, economiste e medici. Ciò rappresenta un capitale umano importante per favorire il cambiamento nella società futura.

Dal punto di vista politico il Congo ha conosciuto l’indipendenza ma il popolo non ne ha mai goduto; così anche le poche donne che sono state elette non davano un apporto positivo al dibattito politico ma venivano manipolate.

Dal punto di vista giuridico, nel 1976, grazie alla formulazione del codice della famiglia, sono state  introdotte alcune novità:

  • l’uguaglianza tra l’uomo e la donna; ciò ha rappresentato un passo importante anche se solo dal punto di vista teorico;
  • per le ragazze, è stata abbassata l’età minima per potersi sposare, dai 18 ai 14 anni; questo per tutelare i politici che abusavano delle ragazze giovani;
  • alla donna è stato riconosciuto il diritto all’eredità ma sempre dopo i suoi figli. 

L’attività di ***

*** fa parte di un’organizzazione che cerca di svolgere una campagna di sensibilizzazione verso le donne, partendo dal presupposto che il diritto all’uguaglianza, alla dignità umana ci è stato donato da Dio.

In questo senso la Chiesa ha sostenuto le seguenti attività:

  • creazione e diffusione di nuove scuole per permettere alle donne di istruirsi e di conoscere la propria situazione;
  • creazione e diffusione di alcuni centri di recupero (es. scuola di Cimpunda), per permettere alle ragazze in difficoltà di imparare almeno un mestiere;
  • creazione di “comunità ecclesiali viventi” C.E.V. (=SHIRIKA) dove viene dato un ruolo alle donne e la possibilità di esprimersi;
  • sensibilizzazione dell’opinione pubblica rispetto alle violenze subite dalle donne durante il periodo della guerra; infatti, data la concezione della donna in questo Paese, tali violenze vengono nascoste.

HERITIERS DE LA JUSTICE – 1

Testimonianza di ***

Il movimento di “Heritiers de la justice” è un’organizzazione della società civile che è nata in occasione della Conferenza Nazionale (1990). Prima di allora la contestazione al regime di Mobuto non poteva essere pubblica pertanto era difficile per chi si opponeva riunirsi. Con la Conferenza Nazionale, il potere di Mobuto ha iniziato ad essere dimestificato. Dopo la sua morte, Kabila ha preso in mano il potere ed ha generato nella popolazione l’illusione che le cose sarebbero cambiate; così non è stato, anzi era evidente la contraddizione tra la speranza creata da Kabila nella popolazione e la realtà di quel periodo.

Un comitato dell’organizzazione “Heritiers de la justice” è stato installato in ogni villaggio per relazionare ed effettuare inchieste su ciò che succede. A livello generale tutte queste informazioni vengono poi raccolte in un rapporto che viene pubblicato sul sito www.heritiers.org. Anche le autorità vengono informate di questi fatti, ma è difficile trovare i capi di queste bande armate e quindi localizzare dove sono. I dati finora raccolti da questo comitato parlano di circa 3 milioni di morti (solo nella zona del lago Kivu) durante la 2° guerra (1998), di circa 1 milione di morti causati durante il genocidio in Ruanda (1994) e di 300.000/500.000 persone in Burundi.

L’IRC – International Rescue Comity, un’organizzazione americana per la sicurezza, ha stimato che le donne violentate a Chapunda (una zona del Congo grande come il Rwanda) sono state circa 2.000.

E’ difficile stabilire il numero di ragazzi, con meno di 18 anni, che sono impiegati nella milizia; ci sono anche delle ragazze nelle armi che vengono a loro volta sottoposte alle violenze da parte dei loro superiori.

Dal 1996 molti bambini non vanno più a scuola perché le scuole sono state bruciate. La povertà è arrivata fino all’umiliazione dei cadaveri (disprezzo per la vita).

Un grosso problema è quello dell’impunità: Heritiers de la justice produce rapporti, informa le autorità dei colpevoli, ma essi non vengono mai puniti; inoltre la maggior parte delle persone che violano i diritti dell’uomo sono al governo. Questo fa si che quasi tutti i membri di questa organizzazione della società civile vengano minacciati e soggetti a violenze e problemi. Questa è la strategia utilizzata per impedire loro di parlare.

Heritier de la justice si occupa anche di far sopravvivere chi viene rinchiuso per motivi politici nelle carceri. In Congo ci sono due tipi di prigioni:

  • ufficiali;
  • non ufficiali

Nelle prigioni ufficiali le condizioni di vita sono disumane, i parenti per vedere i detenuti devono pagare e devono provvedere al loro mantenimento. Solo pagando si può sperare di uscire. L’innocenza non esiste.

Le prigioni non ufficiali sono quelle che nascono nelle singole case dei comandanti chiudendo in una stanza un detenuto e facendosi giustizia da sé.

L’organizzazione Heritiers de la Justice collabora con altre associazioni tra cui:

  • A.I. – Amnisty International;
  • H.R.W. – Human Rights Watch – si occupa della salvaguardia dei diritti umani;
  • I.H.R.L.G. – International Human Rights Low Group;
  • L.D.G.L. – Difesa dei diritti umani dei Grandi Laghi (Burundi, Rwanda, Congo)

Tale organizzazione è formata da diversi settori:

  • FR & Enfant: si occupa dell’educazione nella scuola e della formazione delle donne;
  • CAMPAGNE & AVOCACY:
  • COMMUNICATION: diffusione delle notizie raccolte attraverso la radio, i giornali, i rapporti e i volantini
  • TERRAIN: si occupa di investigazioni, ricerche, formazione sulla stesura di rapporti e mantiene i  contatti con le altre organizzazioni.

L’INTERVENTO DELLA CHIESA

Testimonianza di ***

La città di Bukavu ha circa 400.000 abitanti. In sette mesi il Rwanda (appoggiato dagli Stati Uniti) ha preso una nazione che è 80 volte più grande (Congo). L’impegno dell’Onu è molto aleatorio, firmano trattati ma in concreto non si vede nulla di nuovo.

La Chiesa interviene in due modi:

  • “intervento globale” attuato da un gruppo di preti, circa 10 o 12 persone che raccolgono fatti precisi, analizzano la situazione attuale; in questo modo la Chiesa di Bukavu riesce a dare delle notizie alla popolazione e a tenersi in contatto con le singole Parrocchie;
  • attraverso una “commissione di giustizia e pace” che si occupa di analizzare tutti i casi di ingiustizia e di abuso dei diritti umani; questa commissione mette a disposizione un avvocato gratuito per condurre indagini.

Nella facoltà dell’università di Legge esiste una organizzazione che si occupa di trovare una soluzione per la pace. Tale organizzazione, in collaborazione con altre tre università dell’Africa, ha steso una relazione sulla questione dei Tre Laghi che dovrà essere pubblicata nei prossimi mesi e che prende in esame le seguenti tematiche:

  • diritti dell’uomo: in particolare si è rilevata la distanza che esiste tra il concetto di diritto dell’uomo e la sensibilità della popolazione analizzando i contenuti dei diritti dell’uomo e prendendo come esempio il concetto di minoranza che è universalmente riconosciuto;
  • capacità della società africana di fare suoi una serie di concetti universali;
  • percezioni della popolazione per capire cosa realmente pensa dei diritti dell’uomo; a questo proposito si è rilevato un dislivello tra ciò che è scritto sui testi e ciò che realmente sente la popolazione.

Tale organizzazione, ha compiuto anche ulteriori analisi: una sui problemi politici che stanno al di sotto dei conflitti tra le varie tribù mentre un altro progetto è quello di determinare i motivi per cui in Congo non è stato possibile affermare lo Stato di Diritto, ovvero la democrazia che esiste solo sulla carta.

CONTESTO GEOGRAFICO

Testimonianza di ***

Il Congo è un paese grande otto volte l’Italia, ha cinquanta milioni di abitanti, nove stati che lo circondano.

E’ ricco di minerali.

Nel 1960  finì la colonia belga e iniziarono le secessioni; grazie all’intervento dell’ONU il Paese ha trovato una certa unità sotto la guida di Mobutu. I paesi che circondano il Congo erano tutti filo-comunisti mentre il Congo era sotto la guida degli Americani, che avevano la loro base militare a Kamina. Quindi gli Stati Uniti, pur di avere il monopolio e il controllo delle ricchezze, hanno appoggiato la “dittatura” di Mobuto, ma nel 1996 si è arrivati ad una crisi del Paese.

Nel Congo sono presenti due etnie: gli hutu 85% ed i tutsi 15%.

In Burundi nel 1993 è stato eletto un presidente hutu che però è stato ucciso.

In Rwanda nel 1994 c’è stata una invasione di tutsi che hanno conquistato la parte settentrionale, in questa invasione sono state uccise e trucidate più di 500 mila persone. Dopo tale massacro i tutsi hanno preso il potere,occupando la città di Kigali, costringendo due milioni di hutu a rifugiarsi in Congo ed in Tanzania. Di fronte a questo l’ONU non è intervenuto.

Attualmente la repubblica democratica del Congo è così suddivisa: nella parte ovest, fino a Kinshasa, è al potere il figlio di Kabila mentre nel resto del paese c’è il dominio dei ribelli che sono:

RCD GOMA: occupa la parte del sud Kivu

ANC (Armè Nazionale Congolaise) 

APR (Armè Patriottique Rwandaise)

AB   (Armè Burundaise)

Defense Locale

Ancen Militaires de Mobutu (ex FAZ)

Guerrieri Banyamulenge (ruandesi nati e cresciuti in Congo dove non hanno mai avuto difficoltà di integrazione).

Questi gruppi stanno portando avanti la ribellione e si contrappongono a:

INTERAMWE: milizia ruandese che ha giocato un ruolo importante quando nel 1994 c’è stato il genocidio in Rwanda (militari hutu che uccisero i tutsi);

FDD (Force de Defense Democratique): hutu burundesi insediati in Congo;

FNL (Front National Liberation): truppe militari burundesi insediate in Congo;

ALIRE: forza ruandese (hutu) che si trova in Congo;

MAI MAI: gruppo patriottico congolese (partigiani).

RCD GOMA ed i suoi alleati si trovano nelle grandi città e nei paesi, mentre gli altri gruppi nei villaggi.

Nel settembre del 1996 è iniziata la vera guerra. L’esercito ruandese appoggiato da Uganda e Burundi (tutsi), ha preso la città di Bukavu , cercando di annettere il paese.

Gli Stati Uniti si sono opposti per non dividere la repubblica Democratica del Congo.

Il 17 maggio del 1997 i tutsi sono arrivati a Kinshasa.

Ufficialmente i ruandesi non sono mai entrati nel territorio del Congo, ma nel momento in cui lo hanno invaso, hanno motivato tale invasione come una difesa delle frontiere.

Kabila si è inimicato i congolesi perché ha creato un regime poliziesco (tipo Stalin), quindi doveva essere eliminato. Egli sentendo che lo stavano rovesciando ha rilasciato un ultimatum, intimando tutti gli eserciti stranieri di andarsene in meno di 24 ore dalla repubblica democratica del Congo.

Questi eserciti però cercarono di rimanere nel territorio, ma alla fine desistettero fino a che solo i Banyamulenge rimasero.

Nell’Agosto del 1998 i congolesi diedero l’ultimatum a Kabila per lasciare il potere, ma nella notte iniziarono i bombardamenti e la città di Bukavu venne totalmente occupata dall’esercito ruandese. Il colpo di stato fallì.

Kabila chiese aiuto ai suoi alleati, tra cui Zimbawe, Namibia, Ciad e l’Angola che inizialmente si era dichiarata neutra.

Dall’atra parte si schierarono i seguenti paesi: Rwanda, Burundi, Uganda e i Banyamulenge.

Con il trattato di Pretoria ,Kagame e Kabila hanno firmato il ritiro delle truppe ruandesi a condizione che il governo di Kinshasa si impegni a disarmare gli interamwe presenti nel Congo con l’aiuto della MONUC (Organizzazione dell’ONU che ha il computo di riportare tutti i ruandesi nel loro paese).

La maggior parte dei saccheggi e delle uccisioni che vengono attribuite alla milizia ruandese (interamwe) , sono stati in realtà compiuti dal’ APR (Armè Patriottique Rwandaise).

Dal 2 agosto 1998 fino alla fine del 2001 sono morti in media 2.700 persone al giorno. Infatti il Congo nonostante abbia una crescita delle popolazione del 3,5%, oggi ha meno abitanti di quattro anni fa.

Appunti rivisti

 da Cinzia

HERITIERS DE LA JUSTICE – 2

E’ un’organizzazione non governativa, dedicata alla promozione dei diritti umani e della pace, con sede nell’est della Repubblica Democratica del Congo.

Essa è suddivisa in più di 60 comitati attivi nei villaggi e nelle città della regione dei Grandi Laghi.

Le sue attività sono tese a raggiungere 4 scopi principali:

  • la formazione dei responsabili dei comitati locali;
  • la distribuzione di un’informazione mirata ad educare la popolazione per quanto riguarda i diritti umani;
  • la coabitazione e la tolleranza tra i vari gruppi etnici;
  • la promozione della pace tramite il dialogo intercomunitario  e l’insegnamento all’interno delle scuole primaria e secondaria del concetto di diritti umani.

Héritiers nasce ufficialmente nel 1991, ma già operava nell’ombra da due anni in quanto era assolutamente vietato parlare di diritti umani nell’allora Zaire.

Oggi l’iniziativa attraversa tutta la regione dei Grandi Laghi, raggruppando decine di migliaia di persone, sia nelle città che nelle campagne, di tutte le tendenze politiche, religioni ed origini etnica.

L’organizzazione opera in un paese, il Congo, caratterizzato dai 32 anni di dittatura imposta da Mobutu, nei quali si sono riscontrate gravi violazioni dei diritti umani, soprusi, saccheggi, corruzione, nepotismo, rapimenti, stupri, torture, espropriazioni, crimini ed ingiustizie di ogni sorta. La situazione non è certo migliorata con la caduta del regime, con l’avvento al potere dei Kabila e della guerra con la coalizione capeggiata dal Rwanda.

Tutti questi mali trovano terreno fertile nello stato di ignoranza in materia socio-politica,  mantenuto volontariamente da chi è al potere, nella quale vive la popolazione.

L’idea che sta alla base della concezione di Héritiers de la Justice  non è solamente dare voce al malcontento della popolazione vittima di continui soprusi, ma soprattutto prendere in contropiede le pratiche prima citate, per permettere la coesione tra le varie comunità e soprattutto per promuovere lo sviluppo del progresso economico e sociale.

Il lavoro dell’organizzazione avviene in collaborazione con altre associazioni umanitarie, alcune delle quali operano anche a livello mondiale, tra cui Amnesty international, Human rights wacht  e Legue droit de grand Lacs, e si avvalgono nella loro opera di informazione e denuncia sulla violazione dei diritti umani di diversi mezzi di comunicazione, come le radio locali, due periodici a tiratura regionale ed un sito internet (http://www.heritiers.org/), oltre che di un rapporto annuale che viene reso pubblico, nel quale vengono elencati tutte le azioni documentate e provate nelle quali vengono commesse gravi violazioni dei diritti umani.

Nella repubblica democratica del Congo, ed in particolare nella regione del Kivu, nell’est del paese, tali violazioni sono compiute con sconcertante facilità e frequenza, e le vittime sono nella stragrande maggioranza civili, compresi vecchi, donne e bambini, soprattutto dopo la guerra che ha portato al potere il generale Kabila, nel cui esercito erano presenti in grandissima quantità soldati poco più che bambini, spesso arruolati con la forza, e mandati al massacro tra le prime fila, e quella iniziata nell’agosto ’98 da parte della RCD (Rassemblement Congolais pour la Démocratie), la coalizione formata dagli stati stranieri confinanti con i grandi laghi (Rwanda, Burundi e Uganda), che da allora occupano la parte orientale del paese.

Da allora, nella sola regione del Kivu, ci sono state più di 3.000.000 di vittime tra i civili dovute alla guerra, in pratica 2.700 al giorno!!! con il continuo verificarsi di azioni ignobili: una su tutte il bombardamento dalle montagne di un campo profughi composto da più di 70.000 di persone di etnia Hutu fuggite nel ’94 dal genocidio rwandese, con la conseguente devastazione di esso e lo sterminio di tutti i suoi rifugiati.

L’esercito si è reso protagonista di numerosi crimini di guerra, senza risparmiare né donne né bambini, vittime di veri e propri stupri di massa, fino all’ oltraggio dei cadaveri, coerenti con il più totale disprezzo dell’avversario che caratterizza questa guerra assurda.

Oltre ai soldati della RCD la popolazione è continuamente colpita anche dalle bande armate dei ribelli locali, che per autofinanziarsi, spesso e volentieri irrompono nei villaggi facendo razzia di ciò che trovano, depredando ed incendiando le abitazioni.

Ci racconta ***, esponente di Heritiers nella città di Bukavu:” In un villaggio poco lontano da qui, mentre stavano officiando il rito funebre di un giovane, una banda armata si è introdotta nel villaggio per depredarlo. mettendo in fuga tutti gli abitanti tranne la madre del ragazzo, rimasta accanto al proprio figlio.

Vedendo la reticenza della donna, i miliziani l’ hanno prima denudata, e poi hanno rapito il corpo del giovane, portandoselo via.

Per riaverlo indietro, gli uomini del villaggio hanno dovuto pagare come pegno ai soldati due capre…”.

Allo stesso modo, vivono in condizioni subumane anche i carcerati, costretti a vivere in celle di pochissimi metri quadri, senza acqua e con un buco al posto del bagno, in decine di persone, costretti a fare i turni per decidere chi può sdraiarsi e chi deve rimanere in piedi per lasciare il posto agli altri.

La prigione non fornisce ai detenuti alcuna forma di sostentamento, ed essi possono sfamarsi solamente se sono i parenti a fornirgli il cibo; chi non possiede nessuno che possa occuparsi di lui, viene abbandonato a se stesso.

Il sistema giudiziario è oltretutto praticamente inesistente, e l’unico modo per poter uscire dal carcere è pagare i magistrati.

Sono inoltre numerosi gli episodi di soprusi ed abusi di potere compiuti da parte della polizia, che ordinariamente, anche solo per uno stupido pretesto, arrestano senza alcuna apparente motivazione una persona, segregandola a casa e pretendendo dai parenti il pagamento di una tangente, compiendo così un vero e proprio sequestro di persona!

Seguono ora alcuni estratti dal rapporto annuale sulle violazioni dei diritti umani in Congo, relativo all’anno 2001:

  • Nella mattina del 25 Dicembre, giorno di Natale, nel villaggio di Kalama nel territorio di Bunyakiri, più di cento persone, tra le quali troviamo uomini, donne e bambini, sono state uccise dai militari della RCD. Queste persone sono state accusate di complicità con i Maï-maï e gli Interahamwe. La nostra inchiesta ci ha permesso di identificare 84 persone uccise.
  • Nell’ Aprile 2001, nei villaggi di Kashebere, Funvu, Mundera, Bushege e Mushesha, nel territorio di Bunyakiri, i militari della RCD si sono introdotti tra le abitazioni derubandole ed incendiandole, provocando la morte di numerose persone.
  • Il giorno 1 Aprile 2001, nel villaggio di Kazimia, a 60 km a sud-est di Fizi i militari del Fronte per la difesa della democrazia hanno prelevato e successivamente ucciso 5 persone perché sospettate di collaborazione con la RCD.

In definitiva, nella zona dei grandi laghi, sono fin’ora morte, per cause dovute alla guerra, 1.000.000 di persone in Rwanda, 500.000 in Burundi e 3.000.000 nella regione del Sud-Kivu, in Congo.

Tutto ciò non è abbastanza?

LA SITUAZIONE STORICO-GEOGRAFICA

(Intervento tavola rotonda)

Stavano morendo adagio adagio, era chiarissimo. Non erano nemici, non erano criminali, non erano più niente di terrestre – soltanto ombre nere di malattia e di fame, che giacevano alla rinfusa in quella penombra verdastra. Importati da tutti i recessi della costa con tutta la legalità dei contratti a termine, sperduti in un ambiente estraneo, nutriti di cibi inconsueti, si ammalavano, diventavano inefficienti e venivano autorizzati a strisciare via e a riposare. Queste sagome moribonde erano libere come l’aria – e quasi altrettanto sottili”.

Questa la descrizione fatta dallo scrittore Joseph Conrad nel suo celebre Cuore di Tenebra, del trattamento riservato alla manodopera africana impegnata nella costruzione della ferrovia Matadi-Leopoldville, attraverso la grande foresta equatoriale del Congo. All’epoca di Conrad il paese era sottoposto all’arbitrio pressoché assoluto di uno dei più feroci tiranni che l’Africa abbia mai conosciuto: re Leopoldo II del Belgio, il quale, fece di questo sterminato territorio (più di otto volte l’Italia) una sorta di possedimento personale, spremuto come un limone dalle compagne concessionarie. 

Le prime notizie che si hanno di questa zona dell’Africa centrale risalgono all’inizio dell’ 800, quando gli esploratori europei Livingstone e Stanley, risalirono dalla foce fino alle sorgenti del fiume Congo, scoprendo in pratica questo territorio fino ad allora sconosciuto.

Verso la metà del 19° secolo, il Belgio colonizza questo paese, conservando il suo dominio fino al 1960 quando, come in molte altre zone del mondo, venne concessa l’indipendenza facendo così diventare il Congo uno stato a tutti gli effetti.

Per la sua caratteristica geografica, ovvero trovandosi in parte a nord e in parte a sud dell’equatore, il terreno gode di straordinarie possibilità per essere coltivato, infatti l’alternanza della stagione secca (estate) e di quella delle piogge (inverno), lo rendono particolarmente fertile: è possibile infatti effettuare 3 raccolti all’anno della stessa coltura (come se in Italia potessimo seminare e raccogliere il grano per 3 volte!).

Oltre a questo il sottosuolo è ricchissimo di minerali preziosi (oro, diamanti), materie prime (rame, uranio ed il preziosissimo coltan, minerale utilizzato per l’informatica e per la telefonia cellulare) e grandi risorse energetiche (petrolio e metano).

Da solo il Congo potrebbe mantenere tutta l’Africa!!!

Ci si domanda allora perché la popolazione viva in un tale stato di povertà.

Procediamo con ordine.

All’indipendenza ottenuta nel 1960 sono seguiti alcuni anni di guerre civili per ottenere la supremazia del paese finchè nel 1965 Mobutu, che sin da giovane aveva studiato scienze politiche in Belgio, riuscì ad ottenere il potere ed a riunificare il paese, diviso dalle lotte interne, grazie al sostegno degli stati occidentali, dandogli il nome di Zaire.

Negli anni della guerra fredda, quasi tutti i governi dell’Africa centrale erano di tipo comunista, chi filo-sovietico, chi filo-cinese e chi filo-cubano.

Fu così che lo Zaire rimase l’unico baluardo filo-americano in quella zona, cosicché gli USA, pur di controllare le immense risorse economiche di quella nazione, tollerarono il regime dispotico che Mobutu instaurò nel paese, togliendo ai cittadini ogni diritto di voto, di pensiero politico e praticamente di libertà, praticando delle vere e proprie “purghe staliniste” contro tutti i suoi oppositori politici, senza risparmiare politici, generali dell’esercito e persino membri della propria famiglia.

Il dittatore, mantenendo il paese nella miseria più assoluta, amava però vivere nel lusso più sfrenato, accantonando in 30 anni di potere più di 1.000 miliardi in conti correnti svizzeri, vivendo in abitazioni da favola (tra cui una villa costruita nel centro del deserto, con tanto di piscina olimpionica!!!), e mantenendo ottimi rapporti con tutti i capi di governo occidentali: era infatti molto amico del re del Belgio, di Nixon e di Chirac quand’era sindaco di Parigi.

Nonostante tutto dalla popolazione era considerato una divinità, ed egli stesso aveva spesso vaneggiamenti di un dio, come ad esempio nelle immagini di propaganda che lo ritraevano assunto in cielo.

In pratica parlava come un uomo, ma ragionava come un folle.

All’inizio degli anni ’90, quando il suo potere era ormai logoro, Mobutu indisse per la prima volta le elezioni: i votanti si trovarono davanti a due schede, su una si poteva scegliere il caos, sull’altra  l’ordine. Ovviamente l’ordine veniva associato alla sua figura.

Ma, ormai gravemente malato di cancro, aveva perso ogni suo potere dispotico, inimicandosi anche gli Stati Uniti e perdendo quindi il loro appoggio.

Approfitta di questa situazione il vicino Rwanda, paese che dal 1960, data di indipendenza dalla colonizzazione francese, al 1994 era stato diretto da un governo formato da Hutu; è in quest’anno che avvennero il famoso genocidio operato in particolare dalle milizie Interahamwe, nel quale persero la vita più di 800.000 uomini, e la presa del potere da parte dei Tutsi con Paul Kagame.

Una coalizione formata da Rwanda, Uganda e Burundi entra quindi in Congo col pretesto di difendere i confini minacciati dalle minoranza presenti nella parte orientale del paese e giunti qui per sfuggire ai massacri del ’94.

Fanno parte di questa guerra azioni assolutamente ignobili: una su tutte il bombardamento dalle montagne di un campo profughi composto da più di 70.000 di persone di etnia Hutu fuggite nel ’94 dal genocidio rwandese, con la conseguente devastazione di esso e lo sterminio di tutti i suoi rifugiati.

Non trovando alcuna resistenza da parte dell’esercito ormai allo sfacelo, giunsero fino a Kinshasa e qui salì al potere Laurent Kabila.

La situazione per il popolo congolese non cambiò affatto, nonostante le speranze che aveva lanciato, perché egli stesso instaurò un regime di tipo poliziesco come il suo predecessore.

Kabila non porta affatto la democrazia; il risultato più vistoso del suo governo (interrottosi nel gennaio 2000, con il suo assassinio) è la spaccatura ben presto consumatasi nei confronti degli ex-alleati, soprattutto Uganda e Rwanda, che nel frattempo si sono saldamente insediati in circa il 50% del paese (e che si sono combattuti aspramente per il controllo della città di Kishangani, l’ex- Stanleyville).

Il presidente del Congo, a questo punto, intima ad ogni esercito straniero presente nel suolo nazionale di abbandonare il paese ed oltrepassare i confini.

Questo, e siamo nell’estate del 1998, provoca il fallimento del colpo di stato organizzato ai suoi danni, e porta l’esercito rwandese ad oltrepassare subito il fiume Ruzizi, è il 3 agosto 1998.

Da allora si combatte una guerra assurda, con una quantità enorme di eserciti e gruppi di guerriglieri che scorrazzano per il paese, in una situazione di caos generale della quale è vittima soprattutto la popolazione civile..

I principali di questi gruppi sono, da una arte l’esercito congolese di Joseph Kabila, figlio di Laurent e succedutogli dopo la sua morte, costituito soprattutto dai cosiddetti bambini-soldati, strappati alle loro famiglie e arruolati a forza, i gruppi ribelli partigiani dei Mai-Mai, la coalizione della RCD (Raggruppamento congolese per la democrazia) che riunisce le nazioni confinanti ad est dei grandi laghi e i guerriglieri tutsi dei Banyamulenge.

I vari eserciti si sono resi protagonisti di numerosi crimini di guerra, senza risparmiare né donne né bambini, vittime di veri e propri stupri di massa, fino all’ oltraggio dei cadaveri, coerenti con il più totale disprezzo dell’avversario che caratterizza questa guerra assurda.

Al giorno d’oggi il paese è diviso in numerose zone, ognuna occupata da un diverso esercito tra le parti in conflitto tra loro, ed il continuo susseguirsi di riunioni e trattati di pace che si rivelano poi tutti fittizi, sembrano non servire a nulla per far terminare le ostilità; l’ultima si tiene proprio oggi a Pretoria.

Dal 1998 ad oggi si sono contati in Congo più di 3.000.000 di morti, ovvero 2700 al giorno!

In pratica ogni giorno, a causa della guerra, muore un numero di persone pari alle vittime dell’attentato dell’ 11 Settembre; tutto questo senza che nessun organo di informazione, a parte MISNA, ne riportasse notizia, a causa dei forti interessi economici che le nazioni occidentali (USA e Gran Bretagna in testa, poi Olanda, Belgio, Francia e, anche se in piccola parte, l’Italia)  nutrono in quelle zone.

Un padre missionario ci ha detto: ”Il Congo è un grande supermercato, dove tutti entrano a fare la spesa e poi se ne vanno senza pagare…”

Quando si potrà mettere la parola fine a tutto questo?

Antonio